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Caffé e alta quota: accostamento utile o da evitare?

BERGAMO — Qualcuno raccomanda di non assumere caffeina in alta quota. E’ vero che fa male, o sono tutte leggende metropolitane? Perché questa cattiva reputazione circa l’assunzione di caffeina in alta quota? Esiste qualche evidenza scientifica a favore di ciò? Una revisione della letteratura circa l’utilizzo della caffeina in alta quota é stata fatta da Peter Hackett su “High Altitude Medicine & Biology” numero 1 del 2010: ecco le osservazioni raccolte dallo scienziato. Ci farà scoprire che il consumo di caffeina in alta quota sembra essere non solo sicuro, ma anche utile. La “1,3,7-trimetilxantina”, meglio nota come caffeina, é un alcaloide naturale, un bloccante dei recettori dell’adenosina e una sostanza stimolante psicoattiva. Il tedesco Friedrich Runge l’ha scoperta nel 1819. Ha coniato il termine kaffein, una sostanza contenuta nel caffè, poi, divenuta caffeine in inglese. E’ nota anche come guaranina o teina, sostanze chimicamente identificabili alla stessa molecola. La caffeina é contenuta in quantità diverse in alcune piante (caffè, cacao, té, cola, guaranà, e mate), dove agisce come pesticida naturale per insetti e artropodi (effetto paralizzante, tetanizzante). L’uomo ingerisce degli estratti delle bacche di caffè, cibi o bevande contenenti prodotti derivanti dalle noci di cola e dalle piante di cacao. Pare che gli uomini abbiano assunto caffeina a partire dall’Età della Pietra. Attualmente la caffeina rappresenta una delle sostanze psicoattive più utilizzate a livello mondiale. Sembra che l’80% degli adulti assuma quotidianamente caffeina, addirittura il 90% nel Nord America. Ci si chiede se il metabolismo della caffeina sia lo stesso sul livello del mare e in alta quota. Un cambiamento della farmacodinamica della caffeina potrebbe modificarne gli effetti. Negli adulti sani sul livello del mare l’emivita della caffeina é di 4-9 ore. (Nelle donne che assumono contraccettivi orali l’emivita si sposta da 5 a 10 ore, mentre nelle donne gravide si pone tra 9 e 11 ore). La caffeina viene metabolizzata a livello epatico dal sistema enzimatico citocromo P450 ossidasi, in particolare CYP1A2. Da studi effettuati in quota (4300 m.) si é concluso che la “clearance” della caffeina dipende da un aumentato flusso ematico epatico. L’emivita della caffeina quindi risulta diminuita da 6.7 a 4.7 ore. La formazione e l’eliminazione di metaboliti della caffeina pare aumentata in alta quota. Così sembra che la caffeina abbia una più corta durata di azione in alta quota rispetto al livello del mare. I metaboliti della caffeina sono tre dimetilxantine. La paraxantina (84%) é responsabile dell’incremento del processo di lipolisi, con conseguente rilascio di glicerolo e di acidi grassi nel sangue, utile carburante per i muscoli. La Teobromina (12%) é un vasodilatatore che incrementa la quota di ossigeno e dei nutrienti che vanno al cervello e ai muscoli. Stimola la diuresi. E’ il principale alcaloide presente nel cacao. La Teofillina (4%) é una sostanza rilassante la muscolatura liscia, che interessa principalmente i bronchioli e presenta un effetto cronotropo e inotropo positivi , cioè fanno aumentare la frequenza e l’efficienza del cuore. Codesto metabolica fa aumentare la pressione sanguigna e stimola il centro respiratorio del sistema nervoso centrale. Circa l’effetto diuretico e disidratante della caffeina, uno studio effettuato al campo base dell’Everest (5345 m.) (Scott et al., 2004) ha evidenziato che i soggetti che hanno assunto té rispetto al gruppo di controllo non hanno riportato un aumento della diuresi, ma solo un minor senso di fatica e un miglioramento dell’umore, nonostante freddo e altitudine incrementino la diuresi. La caffeina stimola la risposta ventilatoria ipossica (D’Urzo et al., 1990). La caffeina, sul livello del mare, produce una vasocostrizione sul circolo cerebrale, determinando una diminuzione del flusso ematico cerebrale dal 22 % al 30%, opponendosi all’azione vasodilatatrice dell’adenosina, prodotta dall’ipossia in alta quota, tramite i recettori A2A e A2B situati nella muscolatura liscia vascolare. La caffeina può quindi aiutare a prevenire o a trattare il male acuto di montagna, riducendo la vasodilatazione a livello cerebrale causata dall’ipossia, ossia la diminuzione del tasso di ossigeno. D’altro canto in quota già il sonno è disturbato e, così, é meglio evitare l’assunzione di caffeina soprattutto nel tardo pomeriggio o alla sera, specie in coloro che non sono abituati ad assumere caffeina. Ciò potrebbe, infatti, aggravare l’insonnia provocata dall’alta quota. In alta quota la caffeina può costituire un antidoto alla fatica o alla stanchezza e può migliorare la performance, nonostante la scarsità di letteratura. Pare che la caffeina non influenzi in senso negativo la vasocostrizione ipossica polmonare e non sembra favorire l’edema polmonare d’alta quota. In conclusione l’utilizzo della caffeina in alta quota sembra essere non solo sicuro, ma anche utile. Il timore che favorisca la disidratazione é eccessivo. Il suo effetto sulla ventilazione e sul circolo cerebrale, nonché la sua azione come psicostimolante sono utili in alta quota. Circa il fatto che la caffeina sia in grado di prevenire o migliorare il male acuto di montagna, si auspicano ulteriori studi. I consumatori abituali di caffè non devono sospendere l’assunzione di tale sostanza quando sono in quota.

fonte: montagna.tv



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